IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 94/597 reg. dibattimento a carico di Dante Maria Adelaide imputata del reato di cui agli artt. 21, primo comma e 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, osserva che gia' in precedenza questo pretore si e' pronunciato in ordine all'ipotesi di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 17 settembre 1994, n. 537, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, argomentando che detto articolo che modificava il terzo comma dell'art. 21 della legge Merli prevedeva una manifesta disparita' di trattamento tra coloro che scaricando non osservavano i limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle, e coloro che ai sensi del primo comma dell'art. 21 della legge Merli scaricavano in difetto di prescritta autorizzazione, fattispecie per la quale il legislatore aveva previsto l'obbligatorieta' della sanzione penale. A parere dello scrivente la norma citata si poneva in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per manifesta disparita' di trattamento sanzionatorio che il legislatore prevedeva per fattispecie analoghe ed anzi di maggiore gravita' sostanziale per quanto in particolare concerneva la modifica del comma 3 dell'art. 21 della legge Merli come novellato dal decreto-legge citato. In contrasto altresi' con l'art. 9 della Costituzione in relazione al secondo comma dell'articolo stesso in quanto la mancata applicazione della sanzione penale nella fattispecie prevista dall'art. 3 del decreto-legge citato appariva insufficiente a tutelare il paesaggio nell'accezione piu' lata che recenti pronuncie delle Corti supreme hanno dato alla nozione del paesaggio; infine la norma in questione appariva in contrasto altresi' con l'art. 10 della Costituzione che impone allo Stato italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute laddove omette la sostanziale applicazione e attuazione delle direttive CEE in materia di inquinamento ambientale. Osserva il pretore che le argomentazioni richiamate possono riproporsi con riferimento all'art. 3 del d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, e si ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, il quale, nella sua integrale stesura prevede, in modifica globale del terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 e succ. mod. che "Fatte salve le disposizioni penali di cui al primo e al secondo comma, l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti dalle regioni ai sensi dell'art. 14, secondo comma, ove non costituisca reato o circostanza aggravante, e' punita con la sola sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta milioni, salvo diversa disposizione della legge regionale. Per gli scarichi da insediamenti produttivi, in caso di superamento dei limiti di accettabilita' delle tabelle allegate alla presente legge e, se recapitano in pubbliche fognature, di quelli fissati ai sensi del numero 2) del primo comma dell'art. 12, si applica la pena dell'ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni o dell'arresto fino ad un anno. Si applica la pena dell'ammenda da lire venticinque milioni a lire duecentocinquanta milioni o la pena dell'arresto da due mesi a due anni qualora siano superati i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile, di cui al numero 4) del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, e di cui all'elenco dell'allegato 1 alla delibera medesima. Ai fini della quantificazione della pena e della ammissibilita' dell'oblazione ai sensi dell'art. 162-bis del codice penale, il giudice tiene conto della entita' del superamento dei limiti di accettabilita'". La valutazione del caso in questione richiede un riesame degli aspetti giuridici della tutela ambientale, cosa non agevole per la vastita' dei problemi sollevati dalle due fondamentali leggi che sono state promulgate in merito, e precisamente dalla legge 10 maggio 1976, n. 319, meglio conosciuta sotto il nome di legge Merli, e della successiva legge 24 dicembre 1979, n. 650, comunemente denominata Merli bis. La citata legislazione speciale non si inseriva in un vuoto normativo, poiche' gia' prima della legge Merli esistevano degli scarichi inquinanti, anche se il bene giuridico protetto era il piu' vario. Basti pensare alle norme del testo unico delle leggi sulla pesca del 1931, che nell'art. 9 prescrivevano l'autorizzazione del presidente della giunta provinciale per l'effettuazione degli scarichi industriali in acque pubbliche, conferendo alla predetta autorita' il potere di imporre prescrizioni atte ad impedire danni all'ittiofauna e ad obbligare chi determinava fenomeni di inquinamento ad eseguire opere di ripopolamento ittico. L'art. 6 della stessa legge, poi, vietava, tra l'altro di gettare o di infondere nelle acque materie atte ad intorpidire, stordire od uccidere i pesci, con la conseguenza che attraverso la tutela dell'ittiofauna veniva preservato il corso dell'acqua dall'inquinamento o comunque da forme di inquinamento che non consentissero la vita dei pesci. Le norme del testo unico sanitario che disciplinavano direttamente l'igiene e la salubrita' dell'ambiente svolgevano parimenti un ruolo importante, ad esempio in relazione allo smaltimento delle acque immonde, delle materie escrementizie e altri rifiuti che ai sensi dell'art. 218 dovevano avvenire in modo da non inquinare il sottosuolo, o in relazione al divieto di immissione nei corsi d'acqua che attraversavano l'abitato di fogne o canali di raccolta di acque immonde, tra cui le acque inquinate provenienti da scarichi industriali, previsto dall'art. 227. Il codice penale, infine sotto il titolo VI dedicato ai delitti contro l'incolumita' pubblica sanzionava penalmente l'avvelenamento doloso o colposo di acque destinate all'alimentazione umana, prima che fossero attinte o distribuite per il consumo (vedi i problemi collegati all'uso di atrazina). Altre norme del codice penale che non sembrano disciplinare il fenomeno dell'inquinamento, neanche indirettamente, furono applicate dai pretori cosiddetti di "assalto", attraverso una opera di intelligente interpretazione giurisprudenziale, sostanzialmente recepita dalla suprema Corte di cassazione. Fu cosi' ritenuto applicabile l'art. 635 del codice penale che sanziona la condotta di chiunque distrugge, disperde deteriora o rende, in tutto o in parte inservibili come mobili o immobili altrui, con la contestazione frequente dell'aggravante di cui al n. 3, comma secondo, della norma, in relazione all'ipotesi prevista dall'art. 625 n. 7 del codice penale, per la natura pubblica, la destinazione ad uso pubblico o per la esposizione alla pubblica fede del corso d'acqua inquinata. Fu la stessa giurisprudenza di merito a ritenere applicabile anche l'art. 674 del c.p. che unisce il getto pericoloso di cose e in particolare la condotta di colui che getta o versa in un luogo di pubblico transito o in luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, in tutti i casi in cui dallo svernamento delle sostanze inquinanti potesse derivare un pericolo per la salute o anche per la decorosa parvenza esteriore della persona umana. Ora appare evidente che tutte le norme richiamate, la maggior parte delle quali devono ritenersi ancora vigenti, non assolvevano pero' all'esigenza, da piu' parti sentita, di disciplinare in modo organico la materia degli scarichi per una migliore tutela dell'ambiente. Questo obiettivo risulta appunto consacrato nell'art. 1 della legge 10 maggio 1976, n. 319, il quale alla lettera A, testualmente recita "la presente legge ha per oggetto la disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati diretti e indiretti in tutte le acque superficiali e sotterranee interne e marine, sia pubbliche che private, nonche' in fognature, sul suolo e nel sottosuolo". Occorre subito chiarire che la legge non fornisce la nozione di scarico e che, contrariamente a quanto potrebbe apparire, il significato del termine non e' riferibile a tutti i tipi di scarico in senso assoluto. La giurisprudenza e la dottrina, attraverso lo studio sistematico della normativa, compresa la legge di parziale modifica dell'8 ottobre 1976, n. 690 e la delibera del comitato dei Ministri per il rilevamento delle caratteristiche dei corpi idrici e dei criteri metodologici per la formazione e l'aggiornamento dei catasti del 4 febbraio 1977, hanno precisato il concetto nei seguenti termini: a) deve trattarsi innanzitutto di sostanze di scarto, cioe' di rifiuti derivanti dall'utilizzazione di altre sostanze; b) in secondo luogo, le sostanze devono essere liquide o quanto meno solubili in acqua, poiche' solo in tali condizioni e' possibile realizzare la misurazione dei limiti di accettabilita' degli scarichi con riferimento alle tabelle allegate alla legge cosi' come prescritto dall'art. 9. Cio' che viene misurato infatti, e' l'acqua la quale non puo' che essere l'acqua di rifiuto dell'insediamento. Cio' risulta evidente dalla lettura del titolo IV della legge ed in particolare dagli artt. 9-10-12 e 15. Il primo stabilisce, in proposito, che la misurazione degli scarichi si intende effettuata subito a monte del punto di immissione nei corpi ricettori di cui all'art. 1, lettera A), che gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorita' autorizzata ad effettuare all'interno degli insediamenti produttivi tutte le ispezioni che essa ritenga necessarie per l'accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Le altre norme poi, nel disciplinare le modalita' per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico degli insediamenti produttivi e civili, esistenti o di nuova realizzazione presuppongono tutte che vi sia un impianto di scarico, funzionante con una certa continuita'. Cio' viene anche confermato dal contenuto dell'art. 5 della legge che attribuisce alle province il compito di effettuare il catasto di tutti gli scarichi pubblici e privati nei corsi d'acqua superficiali. La legge, pertanto, secondo taluni non trova applicazione nei casi di scarico di sostanze solide non solubili in acqua e nei casi di scarichi occasionali non ricollegabili immediatamente ad impianti stabili. Tali ipotesi sarebbero applicabili altre norme, sia di natura amministrativa, quali ad esempio la legislazione regionale in materia di rifiuti solidi, sia di natura penale qualora ne sussistono i presupposti (ad es. l'art. 674 del c.p. nel caso di pericolo di imbrattamento o comunque di offesa alla persona, gli artt. 439 e 452 del c.p., qualora dal fatto derivi l'avvelenamento delle falde acquifere, e secondo taluni, l'art. 6 del testo unico sulla pesca, se ne sia derivato un pericolo per la vita dei pesci e cosi' via). Secondo altri per definire il concetto di scarico occorre riconsiderare la nozione di scarichi che compare nella norma di cui all'art. 21 della legge n. 319, onde realizzare il superamento della definizione restrittiva prevalente in dottrina sino alla promulgazione della legge n. 650/1979. In effetti all'art. 1 il legislatore ha disciplinato, come si e' detto, gli scarichi ma tale previsione va collegata con quella contenuta nell'art. 26, che abroga ogni altra norma che disciplina la materia in questione, sia direttamente che indirettamente. Il precetto comune e' contenuto nell'art. 9, secondo il quale "tutti gli scarichi devono essere autorizzati". Dalla modifica operata da parte della legge 29 dicembre 1979, n. 650, all'art. 11 possono ricavarsi concreti elementi a sostegno della posizione che si sta illustrando, imponendosi una interpretazione lata dalla nozione di scarico, e quindi dell'ambito di applicazione della intera normativa dell'inquinamento idrico. La modifica in questione ha determinato la soppressione della espressione "immissione diretta di rifiuti di lavorazioni industriali o provenienti da servizi pubblici o da insediamenti di qualsiasi specie" con quella onnicomprensiva di "scarichi". Ove si sia d'accordo nel ritenere che la nozione soppressa sia compresa nel termine con il quale si e' operata la sostituzione, la conseguenza sul piano pratico sara' che nel concetto di scarico andra' compreso anche quello derivante da singoli episodi isolati o periodici, oltre quello proveniente da insediamento. Tutto cio' comporta la positiva conseguenza di un allargamento della sfera di applicazione delle norme antinquinamento, dotando gli operatori di sempre maggior strumenti.